Editoriale Smart Road Il "passatismo" è un'impasse alla smartizzazione urbana? Laura Biarella 26 January 2025 Notizie correlate Enforcement Smart City e giovani, prevenzione e tecnologia per affrontare l’emergenza armi bianche in sicurezza Editoriale Enforcement Smart city e inclusività, i pericoli per le persone sorde nelle città del futuro Le città del futuro sono capaci di integrare tecnologie avanzate nella vita quotidiana dei cittadini, creando ambienti urbani più sicuri, efficienti, sostenibili e inclusivi. Tra gli ostacoli più significativi per la realizzazione del modello “smart cities” figura il “passatismo”, una visione che si affida al passato per gestire le criticità del presente, rifuggendo dall’innovazione. Questa mentalità conservatrice rischia di rallentare il processo di evoluzione urbana, impedendo il progredire verso soluzioni moderne e tecnologiche. Cos’è il “passatismo”? Il passatismo è un atteggiamento che tende a idealizzare il passato e lo considera preferibile rispetto al presente o al futuro. Tale visione si rivolge al passato con nostalgia, nella convinzione che i tempi passati fossero migliori rispetto a quelli attuali e prossimi. Questo concetto può manifestarsi in svariati ambiti, quali la politica, la cultura o l’arte, sovente implicando un rifiuto del cambiamento ovvero una resistenza all’innovazione, spingendo a cercare soluzioni nel passato invece che nel presente o nel futuro. In ambito storico o filosofico il passatismo è concepito come una tendenza a ripetere o a ricercare modelli di pensiero, condotte o sistemi che appartengono a epoche precedenti. Il passatismo come sbarramento all’evoluzione Il passatismo, nel contesto urbano, si manifesta in molte forme, dalla resistenza al cambiamento nella gestione della mobilità e della sicurezza, alla riluttanza ad adottare tecnologie innovative nei servizi pubblici. Un esempio significativo è rappresentato dalla gestione del trasporto pubblico in molte città italiane, dove si continua a fare affidamento su pattern obsoleti, nonostante le soluzioni più avanzate risultino già in grado di ottimizzare la mobilità, ridurre l’inquinamento e migliorare la qualità della vita. Il rifiuto di integrare tecnologie come le app per la gestione del traffico o i veicoli elettrici è un esempio lampante di come il passato, in alcune situazioni, possa reprimere l’innovazione. Secondo un rapporto del 2020 dell’ European Commission Joint Research Centre, che istituzionalmente fornisce conoscenze e dati scientifici sostenendo le politiche dell’UE affinché abbiano un impatto positivo sulla società, una delle principali sfide per lo sviluppo delle smart cities è la mancanza di politiche lungimiranti. I decisori politici, influenzati spesso dal passato e dalle tradizioni locali, faticano ad adattarsi alle necessità emergenti dettate dai cambiamenti tecnologici e sociali. Ciò porta a investimenti insufficienti nella digitalizzazione delle infrastrutture urbane e alla creazione di piani di sviluppo che non sfruttano appieno le potenzialità delle tecnologie emergenti. Età media in salita e aumento dell’indice di vecchiaia A ciò si aggiunga, e non è un dato di poco conto, quello anagrafico. Secondo i dati forniti dal Ministero dell’Interno al 31 dicembre 2023, che hanno distinto gli Amministratori Locali e Regionali per fasce di età, ben 2386 Comuni hanno in carica un Sindaco nella fascia anagrafica ricompresa tra 51 e 60 anni, soltanto 68 in quella 18-30. Nei dati elaborati da ANCI e aggiornati al 26 giugno 2024, l’età media dei Sindaci dei piccoli Comuni (fino a 5.000 abitanti) è di 54,42 anni e solamente 292 piccoli comuni hanno un sindaco fino a 35 anni compiuti. Il report annuale ISTAT 2024 rappresenta che tra il 2004 e il 2024, l’età media della popolazione è aumentata da 42,3 a 46,6 anni, mentre l’indice di vecchiaia ha raggiunto la quota di 199,8 persone di 65 anni e più ogni cento persone di 0-14 anni, con un aumento di oltre 64 punti percentuali. L’inibizione nell’evoluzione delle infrastrutture Le città che si limitano a preservare la loro identità storica corrono il rischio di non riuscire ad adeguarsi al dato cronologico che si evolve, arrendendosi in partenza alle sfide che comportano le evoluzioni attuali. La resistenza a modernizzare le infrastrutture, come la rete elettrica o quella delle telecomunicazioni, non fa altro che inibire la possibilità di implementare soluzioni intelligenti, quali l’illuminazione pubblica a LED, la gestione intelligente dei rifiuti e l’impiego dei big data per ottimizzare i servizi urbani. Uno studio condotto dall’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) ha rivelato che le città che non riescono a superare l’approccio ancorato al passatismo nelle loro politiche urbanistiche sono meno competitive a livello globale. Le smart cities, infatti, si distinguono proprio per la capacità di adattarsi alle sfide sociali ed economiche emergenti, tramite l’integrazione di tecnologie che migliorano l’efficienza dei servizi e riducono l’impatto ambientale. La resistenza culturale e politica Il passatismo, ben si intenda, non si limita alle questioni di obsolescenza tecnologica, bensì anzitutto di cultura e politica. Molte città italiane, per esempio, sono radicate in un forte attaccamento alle tradizioni e alle strutture consolidate, un aspetto che spesso si riflette nella gestione della pubblica amministrazione. Le decisioni politiche possono essere fortemente influenzate dal passatismo, con i policymaker che possono preferire mantenere lo status quo per evitare rischi e cambiamenti. Ciò significa che le politiche a favore dell’innovazione e dello sviluppo smart spesso restano in sospeso o non vengono attuate efficacemente. Le resistenze politiche al cambiamento, unitamente alla percezione che la modernizzazione possa comportare costi e disagi, rallentano inevitabilmente il passo verso la transizione digitale, portandosi dietro una serie di conseguenze, che a ben vedere sono anche cause, di ordine sociale e culturale. I report di sostenibilità pubblicati ogni anno da vari organismi, tra i quali l’Università Bocconi, dimostrato che le politiche urbane che non abbracciano l’innovazione tecnologica e l’efficienza energetica sono incapaci di garantire una crescita sostenibile. Le smart cities, più precisamente, non si limitano a essere luoghi dove si applicano le tecnologie più avanzate, bensì ambienti che replicano alle reali esigenze della comunità, adattando gli aspetti per innalzare la qualità della vita, mettendo in atto azioni positive protese all’accesso a servizi più rapidi, sicuri e a misura d’uomo. L’innovazione è l’ingrediente principale Ogni anno il City Vision Score misura il livello di “intelligenza” dei 7.896 Comuni italiani, basandosi su 30 indicatori suddivisi nelle sei dimensioni della città intelligente, ovvero Smart Governance, Smart Economy, Smart Environment, Smart Living, Smart Mobility, Smart People. L’edizione 2024 del City Vision Score, presentata nell’ottobre scorso durante la quinta edizione degli Stati generali delle città intelligenti, ha incoronato sul podio Milano, che si è appunto distinta per la capacità di “innovare“, oltre che attrarre talenti. Il passatismo, come comprovano i le analisi dei dati, rappresenta una barriera fattuale alla trasformazione delle città in ambienti intelligenti, efficienti e sostenibili. Se le città intendono davvero evolversi e rispondere alle sfide del futuro, è necessario che gli amministratori, e con essi stakeholders e cittadini, abbandonino la visione del passato per abbracciare l’innovazione. Solo se si riesce a switchare in tal senso risulterà possibile realizzare il pieno potenziale delle smart cities, capaci di integrare la tecnologia nelle loro infrastrutture e nei servizi quotidiani, performando e ottimizzando opere e prestazioni per adeguare, alla modernità, la qualità della vita di tutti i cittadini. In questo contesto, la sfida non si limita all’aspetto tecnologico, anzi, è prima di tutto culturale e politica. Le città italiane, specie in vista dei prossimi e ambiziosi obiettivi posti dall’Unione Europea (come Agenda 2030), devono essere pronte a superare i limiti del passato e a investire nel futuro, per diventare veramente intelligenti e sostenibili, ma anche prosperare. L’insegnamento di Darwin ha suggerito che “Non è la più forte delle specie che sopravvive, né la più intelligente, ma quella più reattiva ai cambiamenti”.
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